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LA PICCOLA VERA
(MALENKAIA VERA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 14 gennaio 1990
 
di Vassili Pitchul, con Natalia Negoda, Andrei Sokolov (Unione Sovietica, 1988)
 
La locandina del film
LA PICCOLA VERA inizia come un film di Brigitte Bardot, con un tocco di démodé malgrado la volontà di far perestrojka; e si trasforma in un happening provocatorio alla Cassavetes. Comincia una ragazzina pigra e sexy, minigonna e gomma da masticare che molla il fidanzatino per il bulletto dallo sguardo presunto assassino; come succedeva, più o meno, in ET DIEU CREA LA FEMME. Ma finisce fra i noti nodi di vipera del quotidiano familiare, tanto da ricordare certe atmosfere dell'inimitabile FAMILY LIFE.

In questo suo potere di metamorfosi, in questa facoltà di stravolgere il melodramma alla moda (il film di Pitchul, dopo essere stato vietato per sei mesi, è diventato un oggetto di culto per la gioventù sovietica, e di scandalo per il resto della popolazione: registrando comunque un record per gli URSS, oltre 50 milioni di spettatori)) in uno sguardo più che disincantato sulla vita piccolo-borghese di una cittadina di provincia (Jdanov, sul mare di Azov, i cantieri navali dell'epoca stalinista sostituiti da due impianti metallurgici, le ciminiere al posto del catrame sulla spiaggia, i medesimi casermoni d'abitazione) sta tutta la forza di questo film invero straordinario.

Se questo succede, come in tutto il cinema autentico, è grazie allo stile, al modo del cineasta di fondere i personaggi all'ambiente, al suo modo di far entrare a viva forza una storia da rotocalco in uno spaccato d'epoca, in una cornice sociale quasi documentaristica. Tremendamente più vera e dissacrante di quel realismo naturalistico sul quale il film sembrava avviarsi alle prime note un po' scontate.

La novità del film, il suo impatto provocatorio sulla società sovietica, si spiega non tanto con le frecciate verbali ormai celebri al comunismo o alla morale tradizionale. Ma con il suo tono estremamente libero e violento, ai limiti del cinismo.

Pitchul usa ogni mezzo espressivo a sua disposizione per capovolgere quei valori sui quali si costruiva l'iconografia di regime, la famiglia, la società, l'ideologia e il porgi l'altra guancia alla marxi-leninista. Il dialogo sfrontato, certo; o l'uso del nudo. Poi, la scelta di uno stile quasi da super-otto, con la cinepresa in spalla e le inquadrature che sembrano rincorrere, fino a scovarli nell'intimità, i personaggi. Un montaggio cut, e delle scenografie (l'interno delle abitazioni) che paiono messe li apposta, per incastrare i personaggi nel loro disperato fallimento. E, naturalmente, la scelta e la direzione degli attori.

Che si tratti di un incontro familiare attorno al tavolo (non si era più visto nulla di altrettanto violento dai tempi di Ken Loach), delle scene pur abusate di letto, alcool e rock and roll, o della solitudine su una spiaggia dal sole grigio, gli attori di Pitchul (prima fra tutti, ovviamente, la giovane rivelazione Natalia Negoda) fanno più che sbattere il mostro in prima pagina. Rivoltano i personaggi (si pensi ai rapporti fra padre e figlia) fino a sortirne ogni umore: con una specie di sadismo calmo e tranquillo, fra l'incoscienza e la lucidità, che certo lega queste piccole storie a quanto di più grosso sta succedendo attorno a loro.


   Il film in Internet (Google)

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